La verifica iniziata prima sulla capogruppo era poi proseguita nei confronti della controllata, alla presenza di un membro del board o del Cfc (Credit and Finance Committe) ritenuto effettivo centro di gestione; alla fine il Pvc era stato notificato al direttore generale della società estera residente oltreconfine. A nulla è servita anche l'istanza di procedura amichevole instaurata successivamente ai sensi dell'articolo 24 del trattato delle doppie imposizioni, prevista dall'accordo bilaterale dei due Paesi. Nel corso dell'ispezione era emerso che nel periodo fra il 2005 e 2009 la funzione di direzione e controllo della società estera era riconducibile alla capogruppo, dove risultava operante il Cfc organo della società estera esercente in concreto la direzione e il controllo effettivo della società e composto da tre dirigenti della banca (di cui due residenti in Italia).
Per l'Agenzia sussistevano indizi precisi e concordanti di esterovestizione: il Cfc era collegato all'effettivo organo gestionale con lo scopo di esercitare l'attività quotidiana e la gestione della società e del consiglio di amministrazione; per alcune operazioni relative a pagamenti o a contratti era richiesta la firma di un membro del Cfc e non del consiglio di amministrazione; tutti i membri del Cfc appartenevano alla banca e due di questi erano residenti in Italia.
Il giudice ha accolto il ricorso della banca estera e ha affermato che il lavoro veniva svolto parte in Italia e parte oltreconfine. Alla luce del certificato di residenza rilasciato dal fisco del Paese dove si riuniva il Cda, è stata data rilevanza significativa ai fini di prova dell'insussistenza di un attendibile collegamento con l'Italia, tenendo conto che all'estero erano state pagate tutte le tasse.
A nulla importa che la direzione e il coordinamento avvenissero tramite il Cfc , organo ritenuto deputato alla gestione di alcuni affari della banca, ma non all'amministrazione vera e propria della capogruppo. Inoltre, i membri di tale comitato erano dirigenti della banca italiana, ma non consiglieri di quest'ultima.
In tema di libertà di stabilimento, dunque, non si configura abuso del diritto se viene documentato che la costituzione di una società all'estero non crea artificio finalizzato a eludere la normativa dello Stato interessato.
sabato 17 gennaio 2015
CFC
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