Preoccupazione sul piano della sua compatibilità con il diritto comunitario e incertezze sull’indicazione delle P.A. destinatarie della disposizione
Sono stati già analizzati alcuni dei dubbi che stanno accompagnando le aziende davanti alla novità legislativa dello split payment, nonché accorati appelli affinché il legislatore possa tornare sui propri passi.
Sulla stessa falsariga si evidenziano sia una preoccupazione che un ulteriore punto grigio.
La prima risiede nella reazione che potrebbe avere, rispetto all’introdotta novità, il Consiglio dell’Unione europea.
Come si ricorderà, la versione originaria del disegno di legge di stabilità 2015 disponeva che l’efficacia della misura fosse subordinata al rilascio di apposita autorizzazione, da parte del Consiglio dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 395 della direttiva 2006/112/CE. Un emendamento predisposto dal Governo ed introdotto nel corso della discussione al Senato ne ha anticipato l’efficacia, stabilendo la sua applicabilità per le operazioni per le quali l’IVA si è resa esigibile a partire dal 1º gennaio 2015, indipendentemente dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione comunitaria.
La decisione governativa appare particolarmente coraggiosa, suscitando una forte preoccupazione sul piano della sua compatibilità con il diritto comunitario. Basti pensare che, a quanto consta, l’Italia pare essere il primo Paese dell’Unione a prevedere una misura del genere. Un sintomo in tal senso può esser visto nel fatto che il Governo si sia già blindato, qualora l’autorizzazione comunitaria non dovesse pervenire entro il 30 giugno 2015, nel coprire la perdita di gettito attesa con lo split payment attraverso l’ormai consueto aumento delle accise sui carburanti. Sulle aziende aleggia così uno spettro, vale a dire la possibilità che gli sforzi attualmente in atto con le software house per implementare i sistemi contabili/amministrativi (considerando anche le relative spese) risultino vani in caso di diniego a livello comunitario.
L’ulteriore punto grigio, che avrebbe meritato un maggior sforzo legislativo, attiene all’indicazione di quali sono i soggetti della Pubblica Amministrazione destinatari della nuova disposizione.
Il novellato art. 17-ter, comma 1 del DPR n. 633/1972 fa riferimento alle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti “dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza”.
L’elenco riecheggia quanto già presente nella normativa IVA sull’esigibilità differita, risultando troppo indefinito e lasciando il campo a troppi dubbi interpretativi. Prima di tutto si tratta di stabilire se l’elencazione effettuata nel nuovo art. 17-ter sia tassativa o possa invece essere oggetto di un’interpretazione estensiva. In materia di esigibilità differita, la prassi amministrativa
esistente (risoluzione n. 99 del 30 luglio 2004; risoluzione n. 271 del 28 settembre 2007) ha imposto un’interpretazione “stretta”, ritenendo l’elencazione contenuta nella norma come tassativa.
In secondo luogo, non ci si è accorti che l’elenco contenuto nell’art. 6, comma 5 del DPR n. 633 e fatto proprio dal legislatore nello split payment non è stato mai aggiornato rispetto all’evoluzione della normativa sugli enti pubblici, cosicché non è agevole ricondurre alcune tipologie di enti pubblici attualmente esistenti nell’elencazione normativa (ad esempio aziende pubbliche di servizi alla persona e aziende speciali).
Basti pensare che l’art. 6 è stato introdotto nel 1973 rimandando come soggetti di riferimento “allo Stato, agli enti pubblici territoriali e agli enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza”, per poi giungere alla sua attuale elencazione nel 1998, prima dell’entrata in vigore, tra i tanti, del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (DLgs. 18 agosto 2000 n. 267) che ha apportato alcune modificazioni alla divisione territoriale dello Stato. In materia di split payment sarebbe stato più opportuno riprodurre la formulazione legislativa utilizzata in occasione dell’introduzione della fatturazione elettronica verso la pubblica amministrazione, rimandando così l’individuazione delle amministrazioni pubbliche all’elenco annuale pubblicato dall’ISTAT.
È pertanto quanto mai opportuno che un’indicazione delle amministrazioni destinatarie dello split payment sia contenuta nel relativo decreto di attuazione, in fase di perfezionamento come annunciato dal comunicato stampa del Ministero dell’Economia e delle finanze lo scorso 9 gennaio. (eutekne)