sabato 17 febbraio 2007

Le esternazioni di Diliberto e il rispetto dell'avversario

17 febbraio 2007 - Avvenire

Se il linguaggio della politica è ispirato dalla curva ultrà
Marina Corradi
Il giorno dopo, il segretario del Pdci Oliviero Diliberto ribadisce che l'avversario più avversario di tutti gli fa proprio schifo, e invece di scusarsi invita: mi denuncino, ci divertiremo in tribunale. Ora, siamo abituati da anni a ogni contumelia bipartisan contro gli avversari politici; siamo avvezzi a sentir dare dei «coglioni» a chi vota in un modo, e a assistere imperturbabili a ogni rissa o corrida parlamentare; a sentire urlare, da cortei capitanati da rispettabili onorevoli, «Una, cento, mille Nasiriyah», senza che chi c'era senta il bisogno di dimettersi per la vergogna. Tuttavia, quel "mi fa schifo" pare in tanta esuberanza verbale qualcosa di ancora inedito. Perché va al di là di ogni contestazione ragionevole, di ogni accusa spendibile sul piano logico. «Mi fa schifo», proclamato a un pubblico convegno, è pura espressione di una visceralità che di ragioni non ha alcun bisogno. È affermare una ripugnanza istintiva, un'avversione innata, quella che tutti ben conosciamo fin da bambini davanti a un bruco, o a un ragno peloso. Nessuna spiegazione sulla utilità dei bruchi o dei ragni può abbattere quel moto viscerale: «Mi fa schifo». Per questo che un'affermazione simile entri nel dibattito politico, e nemmeno il giorno dopo, più calmi, si pensi di scusarsene, fa impressione. Non facciamo più tanto caso agli insulti, quando siano incentrati sulla proposta politica dell'avversario. Troviamo naturale che ci si affronti a colpi d'obice, tra i due fronti, nel merito delle questioni. Purché lo scontro, da frontale, qualche volta almeno trovi delle mediazioni, dei minimi comuni denominatori: è la politica, il lavoro della politica. Ma se alle ragioni logiche sostituisci quel conato di insofferenza istintiva, non c'è più spazio per nessuna mediazione, né politica. C'è l'odio, e basta. È, questo linguaggio, quello che si parla nelle curve degli stadi. È la lingua dei teppisti che sfasciano senza una ragione ciò che possono; e di certe aule di scuola, dove si malmen a un compagno handicappato e la ragazzina del primo banco ride facendo una smorfia disgustata: «Che puzza!». Già, che schifo, perché quel poveretto terrorizzato se l'è fatta addosso. Parole consuete, dunque, parole di ogni giorno. E però che, senza ripensamenti, così parlino quelli che chiamiamo "onorevoli", ci mette addosso una sottile inquietudine. Un Paese resta civile se riconosciamo all'avversario, comunque, il rispetto umano. Non è una faccenda formale: è quel riconoscimento dell'altro, che è alla base del vivere insieme, in pace. Appena un passo oltre, scatta l'arbitrio delle proprie private idiosincrasie, che non chiedono né forniscono ragioni. E allora ci si ritrova come nelle varie curve degli ultrà, in balia di avversioni viscerali che premono per essere agite. Chi ha oggi, più o meno, 40 anni ricorda ancora che a scuola la visita di un rappresentante dello Stato, dal presidente della Repubblica al sindaco del paese, era la rappresentazione ai ragazzi di un'Italia civile, in cui ognuno aveva e meritava rispetto. Forse c'era un po' di retorica, si stava in piedi davanti alla bandiera, e quando parlava quell'uomo "importante" con parole gravi. Forse eravamo ingenui, e non sapevamo tante cose. Però, quel che ci trasmettevano in fondo era l'idea di uno Stato teso a affermare il rispetto reciproco, e il bene comune. E saranno forse le «buone care cose di pessimo gusto» di un tempo. Però, che maledetta nostalgia.

Prima dei Dico e dei Pacs

Sabato 17 febbraio 2007 - Avvenire

Ma un'altra via c'è, e come. concreta e lineare
Marco Tarquinio
Lo slogan - ultimativo e martellante - è sempre lo stesso: o i Dico o i Pacs. Non ci sarebbe altra strada da percorrere per dare riconoscimento ai diritti delle persone che convivono e non vogliono o non possono sposarsi. Ma non è affatto così. E già oggi non è così. Perché in Italia già oggi è possibile regolare la libera unione di due persone con strumenti giuridici utili ed efficaci. C'è un'altra via, insomma: quella del Codice civile. Ed è una via appropriata, lineare, ben riconoscibile e - infatti - battuta da tempo da chi ha interesse a farlo. Una via che viene, invece, incomprensibilmente misconosciuta o trascurata. E che davvero con minimo sforzo di messa a punto, minima "pesantezza" normativa e minimo impatto ordinamentale può condurre al risultato che si vuole raggiungere. Forse non a quello fortemente voluto da gruppi di pressione assai determinati, certo a quello formalmente auspicato dal programma di governo dell'Unione.Giuristi dei più diversi orientamenti - pur nella granitica disattenzione dei mezzi di comunicazione di massa - continuano a ricordare al mondo della politica e all'opinione pubblica che il tema delle unioni di fatto merita di essere affrontato da quest'altro limpido versante. Uscendo in modo netto dalla logica del simil-matrimonio (più o meno mascherato) e dalla deleteria confusione che produrrebbe. Quell'ambigua logica e quella inevitabile confusione che, a parole, quasi tutti sostengono di voler evitare. E che sarebbe bene scongiurare non avventurandosi sul terreno minato di un presunto e intrusivo dovere dello Stato di sancire addirittura i "vincoli affettivi" dei suoi cittadini. O smettendola di far circolare la favola della impossibilità di assistere un convivente ammalato (basta volerlo - e scriverlo nero su bianco - e il problema, ammesso che emerga, è risolto). Ma anche tenendo ben ferma la basilare distinzione tra la sfera del matrimonio e quella del patrimonio (che si toccano ma non sono affatt o sovrapponibili). E cioè senza tentare di sostenere - come pure si sta incredibilmente facendo - che il possibile riconoscimento di taluni reciproci diritti patrimoniali tra conviventi passi inesorabilmente per la definizione di un qualche status para-matrimoniale.C'è l'altra via, quella dell'applicazione (con eventuali ritocchi) del Codice civile . E non si può continuare a fingere di non vederla. L'ampio ragionamento - e l'inquietante analisi delle incongruenze del disegno di legge sui Dico e dei contenziosi che genererebbe - sviluppato da un avvocato di grande esperienza come Annamaria Bernardini De Pace nel colloquio che pubblichiamo oggi a pagina 3 è la conferma della forte e diffusa preoccupazione per questa cecità ostentata. Un allarme che si sostanzia nel pressante invito - formulato con una sensibilità laica che finisce per essere in significativa assonanza con quella manifestatasi nel mondo cattolico - a ricalibrare e, in pratica, a riavviare un dibattito che rischia altrimenti di svilupparsi per slogan e stereotipi, senza davvero tener conto delle realtà di vita - sociale e giuridica - nel nostro Paese. E, invece, ne siamo sempre più convinti, c'è assoluto bisogno di rimettere i piedi a terra e le questioni al loro posto. Con tutta la necessaria chiarezza. E senza sterile bellicosità.

ROVATO. Il candidato sindaco della Lega fa il punto sulla sfida interna alla Cdl

Sabato 17 Febbraio 2007 - Bresciaoggi

Elezioni amministrative di Rovato: nella Casa delle libertà sembra ormai inevitabile un ballottaggio per scegliere il candidato sindaco chiamato a sfidare il primo cittadino uscente Andrea Cottinelli, espressione della lista di centrosinistra «Rovato civica» e Roberto Manenti leader di una coalizione che porterà il suo nome. In corsa per rappresentare il centrodestra ci sono Pierluigi Toscani, Lega nord, e Alessandro Conter, Forza Italia. Tramontata invece definitivamente la candidatura dell’esponente di Alleanza nazionale Carlo Alberto Capoferri. Toscani, candidato nel 2002, in consiglio da quindici anni, assessore ai servizi sociali durante il mandato Roberto Manenti, è già entrato in clima agonistico: «Al di là delle decisioni del centrodestra - osserva -, spero che Manenti non ripeta l’errore delle passate elezioni quando, presentando la sua lista, fece perdere la Casa delle libertà per una manciata di voti. Ma nel caso in cui ostinatamente scegliesse questa strada mi auguro che gli elettori si ricordino che un voto alla lista di Manenti è un voto in meno per la Casa delle libertà e uno in più per il sindaco di centrosinistra. Invito quindi Manenti a tornare sui suoi passi e trovare una collocazione nella nostra coalizione». Sulle «primarie» con Conter, l’esponente leghista non ha dubbi: «Ci sono trattative in corso ad ogni livello politico ma al di là delle decisioni garantisco che la Cdl si presenterà compatta - afferma Toscani -: tutta la coalizione remerà nella stessa direzione a prescindere dal candidato sindaco». Sui cinque anni di governo del centrosinistra, il leader del Carroccio rovatese non ha dubbi: sono stati un fallimento. «L’amministrazione Cottinelli - osserva -, ha messo in bilancio per anni solo opere iniziate dal precedente esecutivo: solo nell’ultimo anno ha messo opere proprie. Sono una lista civica mascherata che nasconde realmente una coalizione di sinistra per cui come ho scritto sull’ultimo numero del Leone, invece che lista del trenino potrebbe chiamarsi lista Pinocchio, perché non ha mantenuto le promesse fatte, e dimenticando gli slogan hanno riaperto la discarica ex Rovedil e l’inceneritore non lo ha fatto a Rovato ma a Parona». Per Toscani sicurezza e riduzione fiscale saranno i punti di forza su cui elaborare il programma. «Se dovessi esser candidato sindaco - spiega - metterei al primo posto la sicurezza dei cittadini con forte inasprimento dei controlli diurni e notturni a Rovato facendo ricorso anche alle Ronde Padane». «Mi piacerebbe - annuncia il leader leghista - ridurre la pressione fiscale intervenendo per abbassare le aliquote Ici della prima casa e punterei sulla valorizzazione delle frazioni e sul rilancio dell’immagine di Rovato che è, e merita di esserlo, capitale della Franciacorta».