Sabato 17 febbraio 2007 - Avvenire
Ma un'altra via c'è, e come. concreta e lineare
Marco Tarquinio
Lo slogan - ultimativo e martellante - è sempre lo stesso: o i Dico o i Pacs. Non ci sarebbe altra strada da percorrere per dare riconoscimento ai diritti delle persone che convivono e non vogliono o non possono sposarsi. Ma non è affatto così. E già oggi non è così. Perché in Italia già oggi è possibile regolare la libera unione di due persone con strumenti giuridici utili ed efficaci. C'è un'altra via, insomma: quella del Codice civile. Ed è una via appropriata, lineare, ben riconoscibile e - infatti - battuta da tempo da chi ha interesse a farlo. Una via che viene, invece, incomprensibilmente misconosciuta o trascurata. E che davvero con minimo sforzo di messa a punto, minima "pesantezza" normativa e minimo impatto ordinamentale può condurre al risultato che si vuole raggiungere. Forse non a quello fortemente voluto da gruppi di pressione assai determinati, certo a quello formalmente auspicato dal programma di governo dell'Unione.Giuristi dei più diversi orientamenti - pur nella granitica disattenzione dei mezzi di comunicazione di massa - continuano a ricordare al mondo della politica e all'opinione pubblica che il tema delle unioni di fatto merita di essere affrontato da quest'altro limpido versante. Uscendo in modo netto dalla logica del simil-matrimonio (più o meno mascherato) e dalla deleteria confusione che produrrebbe. Quell'ambigua logica e quella inevitabile confusione che, a parole, quasi tutti sostengono di voler evitare. E che sarebbe bene scongiurare non avventurandosi sul terreno minato di un presunto e intrusivo dovere dello Stato di sancire addirittura i "vincoli affettivi" dei suoi cittadini. O smettendola di far circolare la favola della impossibilità di assistere un convivente ammalato (basta volerlo - e scriverlo nero su bianco - e il problema, ammesso che emerga, è risolto). Ma anche tenendo ben ferma la basilare distinzione tra la sfera del matrimonio e quella del patrimonio (che si toccano ma non sono affatt o sovrapponibili). E cioè senza tentare di sostenere - come pure si sta incredibilmente facendo - che il possibile riconoscimento di taluni reciproci diritti patrimoniali tra conviventi passi inesorabilmente per la definizione di un qualche status para-matrimoniale.C'è l'altra via, quella dell'applicazione (con eventuali ritocchi) del Codice civile . E non si può continuare a fingere di non vederla. L'ampio ragionamento - e l'inquietante analisi delle incongruenze del disegno di legge sui Dico e dei contenziosi che genererebbe - sviluppato da un avvocato di grande esperienza come Annamaria Bernardini De Pace nel colloquio che pubblichiamo oggi a pagina 3 è la conferma della forte e diffusa preoccupazione per questa cecità ostentata. Un allarme che si sostanzia nel pressante invito - formulato con una sensibilità laica che finisce per essere in significativa assonanza con quella manifestatasi nel mondo cattolico - a ricalibrare e, in pratica, a riavviare un dibattito che rischia altrimenti di svilupparsi per slogan e stereotipi, senza davvero tener conto delle realtà di vita - sociale e giuridica - nel nostro Paese. E, invece, ne siamo sempre più convinti, c'è assoluto bisogno di rimettere i piedi a terra e le questioni al loro posto. Con tutta la necessaria chiarezza. E senza sterile bellicosità.
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